Mi chiamo Alessandra e per ben 30 anni ho vissuto sul fondo di uno stagno credendo di essere a Copacabana, ma se rimarrai con me ti spiegherò perché sono stata così brava a fingere di essere felice per tutto quel tempo.
Sono sempre stata una bimba molto sensibile. Tanto sensibile. Troppo sensibile.
Già. Genitori, insegnanti e professori negli anni, mossi sicuramente dalle più nobili intenzioni, hanno pensato di aiutarmi consigliandomi di vincere la mia sensibilità, incoraggiandomi di fatto a credere che fosse un difetto, qualcosa da correggere. Sensibile = insicuro. E per 30 anni ci ho creduto con tutta me stessa.
Ma partiamo dall’inizio.
Quand’ero piccola mal tolleravo chiasso, luci e rumori troppo forti.
Mi terrorizzavano i fuochi d’artificio che mi costringevo a guardare solo tappandomi le orecchie. Tutti si divertivano e io non vedevo l’ora finisse tutto. Per non parlare del tappo dello spumante. L’attesa del botto. Che ansia.
Durante i lunghi viaggi notturni in macchina ricordo lo stordimento delle luci in galleria, questi continui flash e io che mi domandavo: “Ma quando sarò grande riuscirò a guidare di notte?” Tipico pensiero ludico di una bambina di 9 anni.
E poi piangevo. Piangevo per qualsiasi cosa.
Ricordo i pianti a singhiozzo alla fine di ogni vacanza al mare. Salutavo mia Zia Silvana e i miei cugini in lacrime pur consapevole che li avrei rivisti da lì a poche settimane a Varese, ma niente. Inconsolabile.
Poi sono cresciuta. E le cose non si sono messe meglio.
La scuola, le prime amiche, le prime cotte, le prime uscite. Un cocktail esplosivo di ormoni e inadeguatezza cronica.
A scuola non andavo bene, sceglievo sempre le amicizie sbagliate, il banco sbagliato, il fidanzatino sbagliato, dicevo un sacco di bugie, mentivo su tutto, litigavo da sola nella mia stanza con un sacco di persone che nella vita di tutti i giorni invece mi mortificano e umiliavano. Oggi li chiameremmo bulli. In realtà nella mia stanza succedevano un sacco di cose meravigliose. Walkman, cuffie, musica e il mio momento di gloria. Ma solo lì. Sempre e solo nella mia stanza.
Ci vorranno altri 20 anni per comprendere il perché di tutto questo, per iniziare a mettere il silenziatore a quella voce che come una cantilena ripeteva: “Sei sbagliata, fai schifo a scuola e non ti meriti niente”, per abbracciare quella bimba che voleva solo comprensione, protezione e rispetto, e sradicare quegli atteggiamenti mentali distruttivi e le menzogne radicate e sabotanti.
Dai 20 ai 30 anni qualche soddisfazione me la prendo: inizio a lavorare, mi fidanzo ufficialmente, vado a convivere a 24 anni per convolare a nozze a 29 e divorziare dopo 24 mesi. Caratterialmente? Una leonessa spelacchiata che ruggiva solo per non far arrivare il puzzo dell’insicurezza.
Fino a quando, un giorno di Gennaio del 2010, citofono ad un campanello con sopra inciso “Dott.ssa Psicologa Psicoterapeuta”.
Avevo trent’anni, e ignara di tutto ciò che stava per accadere, misi in atto la decade più rivoluzionaria della mia vita.
E vissero tutti felici e contenti? Manco per niente, anzi. Però qualcosa di copernicano stava per accadere. Avrei compreso quanto tutto sarebbe dipeso solo da me.
Si soffre? Sì e tanto anche. Ma ne racconteremo ancora su questo blog.
Rischi di rimanere sola? Forse sì, ma anche di questo parleremo tanto su questo blog.
Mi sono pentita? Mai. E spero che questo nostro spazio condiviso serva a dare a te e a tutte noi anche solo un pizzico della forza che ci meritiamo.